di Riccardo Caselli

Non sarà che guardare alla politica, a questa o a quella legge, discutere e scannarsi su questo o quello schieramento è un po’ come guardare all’albero e perdere di vista la foresta?
E la foresta in questo caso è il capitalismo nel suo complesso, come costruzione globale, oramai accelerata ed esasperata dalla tecnologia e spinto a livelli di ineguaglianza difficilmente sostenibili o sensati. I problemi che ci riguardano veramente non sono politici o nazionali, ma umani, globali e sistemici. Non possono venire risolti a livello nazionale, nè con questo o quel voto locale, ma solo a livello collettivo.
Per esempio, secondo un rapporto della Oxfam, i 26 uomini più ricchi della terra posseggono quanto il 50% dei più poveri. Secondo altre fonti il numero è leggeremente diverso, ma poco importa che siano 26 o 50. Il concetto è che singoli individui possiedono tanto quanto la popolazione di intere nazioni messe assieme.
Ma prima di impugnare i forconi e urlare all’avidità di pochi, la corruzione o altro, occorre capire che questo fenomeno di consolidamento di risorse nelle mani di pochi è una conseguenza naturale delle premesse attuali su cui è costruito il sistema economico attuale.
Le democrazie occidentali fondate sul libero mercato e la competizione si dovrebbero distinguere da stati oligarchici dove il governo distribuisce licenze e interi settori industriali a un circolo ristretto di personaggi e dove la ricchezza (e potere) si trova così estremamente consolidata nella mani di pochi.
Eppure, anche con leggi antitrust e competizione teoricamente libera, pure in occidente osserviamo fenomeni simili in moltissime industrie, dove negli ultimi vent’anni, i primi due player hanno aumentato le quote di mercato e il gap con il terzo.
Nell’industria delle birre, il gigante ABInbev dopo la fusione con SabMiller, si stima controlli il 46% dei profitti globali nel settore. Google si stima controlli il 79% del mercato globale, con i primi tre competitor che non vanno oltre il 7%. Nei videogiochi, i primi due player Sony e Microsoft, da soli controllano il 40% e il 18% del mercato. Ma nei sistemi operativi Microsoft da sola controlla ben l’84%.
Nel settore delle bevande gasate, Coca-Cola controlla circa il 42%, staccata vi è Pepsi con il 28% circa, e segue Pepper Snapple con il 17%. A tutti gli altri non resta che dividersi il 13% che resta.
Una distribuzione simile si trova in molti altri mercati, dove tre player al massimo dominano il settore, ciascuno con quote di mercato progressivamente dimezzate, e fino a qualche anno fa il mercato degli smartphone mostrava questa distribuzione in modo quasi perfetto con Samsung (23.7%), Apple (11.7%) e Xiaomi (5.2%) nel 2014.
Se molti di questi giganti sono nati attraverso processi di ‘merger and acquisition’, un fenomeno simile si riscontra anche al di fuori dei settori industriali tradizionali.
Ad esempio nel 2014, fra le cantanti femminili, Beyonce aveva guadagnato 115 milioni. Quasi il doppio della seconda, Taylor Swift ferma a 64. A seguire, Pink, Rihanna e Katy Perry con 52, 48 e 40 milioni di dollari. E solo queste cinque cantanti probabilmente hanno guadagnato in quell’anno più di tutti i musicisti ‘normali’ sparsi per il mondo, messi insieme.
I social media e internet, se hanno aperto le porte del successo ad alcuni sconosciuti, si sono però anche presto trasformati in canali a pagamento, non immuni da questo fenomeno di consolidamento al vertice. Anzi, aprendo alla possibilità di ‘scalare’ infinitamente il proprio prodotto digitale, hanno offerto un canale senza limiti di crescita per coloro che stanno al vertice.
Su Youtube, il primo canale PewDiePie ha circa 85 milioni di subscribers, il 70% in più del secondo 5-Minutes Crafts e il doppio del quarto Justin Bieber. Secondo una ricerca del professor Mathias Bärtl’s nel 2016, solo il 3% dei canali al vertice di Youtube monopolizzava il 90% delle visualizzazioni.
E questo non stupisce. Del resto più uno ha visualizzazioni, più l’algoritmo di Youtube lo proporrà anche ai nuovi utenti e via dicendo.
Qualcosa di non dissimile accade nello sport. Per esempio, nel tennis, nel 2018, i primi 5 giocatori del ranking si sono complessivamente aggiudicati il 28% dei premi, e il 50% del montepremi è stato appannaggio dei migliori 15. Reilly Opelka, numero 100 del mondo ha guadagnato un settantottesimo del numero 1, ovvero 159.000 dollari contro 12,6 milioni. Questo gap pero diviene radicalmente più grande quando si aggiungono le sponsorizzazioni.
Stiamo ancora esaminando buoni stipendi, ma stiamo parlando dei migliori 100 atleti in un pianeta di oltre 7.5 miliardi di persone. Più scendiamo, più troviamo briciole.
Non sono un economista, ma se un fenomeno si ripresenta in maniera regolare, forse ha qualcosa a che vedere con il modello in quanto tale. Non con questo o quel politico, schieramento, nazione, singola legge o categoria.
Ma forse conviene al sistema proprio farci parlare di questo o quel politico o schieramento, così da non cambiare le premesse dell’ intero sistema stesso. Per continuare a guardare singoli alberi e dimenticarci così della foresta