di Dario Caselli
Il sistema delle porte girevoli del Pd, in cui si passava da sindacalista a
cooperatore e da qui ad assessore e viceversa, sta mostrando la corda, perché i
posti sono molti di meno e le associazioni di impresa, come Api, Cna,
Confesercenti, Cia, si sono emancipate e sono dimagrite e la riserva speciale
per politici Pd, trombati o in disuso, si è ridotta al lumicino, o è scomparsa.
Poi per i molti disastri che questa classe dirigente politica ha fatto
nell’occupare aziende, siano esse banche o cooperative. Un rosario di
fallimenti, da quelli nazionali, banche come Monte Paschi, Etruria e in
compartecipazione con il centrodestra Carige, oppure grandi coop di costruzione,
come CCC o CRC, fino al rosario di fallimenti reggiani, che non è mai inutile
ricordare: Unieco, Coopsette, Orion, Muratori Reggiolo, Ccpl, Cormo. Quello che
però non ci si aspettava era che portassero in rosso pure il partito. Infatti a
Reggio il Pd è proprio a mal partito: le casse sono drammaticamente in rosso,
colore che ormai non va più di moda, per
l’incredibile buco di due milioni, accumulato in sette anni da Festareggio, l’ultimo
nome delle feste dell’Unità, a sua volta pure fallita, ma piangono anche a
Roma, al Nazareno. La situazione sembra drammatica, sicuramente non è seria: il
tesoriere Francesco Bonifazi, renziano, anzi fedelissimo di Maria Elena Boschi,
ha scritto una lettera accorata al capogruppo dei deputati Graziano Delrio, a
quello del Senato Andrea Marcucci e al presidente del partito, Matteo Orfini,i
invocando aiuto per mettere rimedio a una “situazione incresciosa e
ingiustificabile”.
Numerosi parlamentari sono morosi, e non
hanno versato, in tutto o in parte, i 1500 euro al mese imposti dal regolamento
del partito, più il ticket d’ingresso di diecimila euro al momento della
elezione. Uno sforzo che evidentemente pare immane
per deputati e senatori che intascano
ogni mese tra i 12 mila e i 17 mila euro e pensare che ai tempi del Pci
potevano trattenere solo il corrispettivo del salario di un operaio. Ora, oltre
a sentirsi ottimati, evidentemente vogliono vivere da ottimati. Oppure i salari
degli operai hanno superato i diecimila euro mensili, senza che nessuno se ne
accorgesse, a cominciare dagli stessi operai. Si sa che i tempi cambiano e
mentre gli operai continuano ad andare al mare ai lidi estensi, i deputati del
Pd vanno a Capalbio, o su isole esclusive come Vulcano. A leggere il Corriere,
i deputati morosi non sono pochi: l’ex ministro della Giustizia Orlando, il
senatore Matteo Richetti da Sassuolo, lettiano, poi renziano e oggi vice del
candidato alla segreteria, Martina, i senatori Franco Mirabelli, Daniele Manca
ed Ernesto Magorno. Tra i deputati, il Corriere cita Maria Chiara Gadda, Chiara
Gribaudo, Enrico Bruno Bossio e Antonello Giacomelli. La cosa comica è che tra
i morosi figuri pure il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, tra i
destinatari dell’accorata missiva del tesoriere Bonifazi, già rimosso dopo la
vittoria di Zingaretti e sostituito con l’evergreen franceschiniano Zanda.
Delrio, accampa la scusa di averli dati al partito reggiano, che evidentemente
non deve essergli molto grato vista la pessima figura fatta in Provincia, alle primarie,
dal suo candidato Martina. Tuttavia non è proprio bello vedere come in testa
alla lista dei morosi vi sia il capogruppo, che per ruolo e formazione dovrebbe
dare l’esempio.
Anche perchè quei soldi dovrebbero alimentare il fondo per i dipendenti del
partito, che temono di finire per strada, come i loro colleghi dell’Unità.
Anche se i dipendenti stessi dovrebbero sapere che nel socialismo reale, si
divide quello che c’è, in questo caso il poco, mentre una ristretta casta si
divide il molto. Accadeva nella Russia di Breznev e pure in quella di Putin,
nella mitica Cuba di Fidel, nella Cina di Mao e pure in quella di oggi. Dato
che ormai i soldi sono tutto, non c’è da stupirsi di una certa taccagneria,
però gli amici del Graziano nazionale, quelli della Margherita, erano già stati
graziati, quando il loro tesoriere, un certo Lusi, era fuggito con la cassa, il
magistrato aveva dichiarato la Margherita parte lesa, oggi invece per le
malefatte del suo tesoriere Belsito, la Lega deve pagare 49 mln di euro. E ’giusto
così, l’operato dei giudici si rispetta, ma si potrà almeno dire che hanno
avuto fortuna! Insomma, si tratta come sempre di “compagni che sbagliano”, ora
dopo la fusione con la sinistra cattolica, non c’è più l’espulsione, ma il
perdono, che si ottiene pagando il dovuto in comode rate e senza interessi.
Comunque nulla di nuovo sotto il sole,
nella passata legislatura il partito arrivò ai decreti ingiuntivi verso una
sessantina di parlamentari e l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, altro
solone del perbenismo, fu condannato dal giudice a versare 83 mila euro al
partito, anche ai campioni dei “poveri” piace vivere bene.