di Domizia Dalia
Per essere un’attrice a tutto tondo, capace di passare da un genere all’altro, da un palcoscenico teatrale ad un set cinematografico o televisivo con estrema disinvoltura, può bastare il solo talento? Eleonora Giovanardi è un’attrice reggiana, classe 1982 che oltre alla sua predisposizione naturale per la recitazione, riesce a combinare sapientemente dedizione, studio e sacrificio alla ricerca di una preparazione meticolosa ai limiti della pignoleria. Il suo è un curriculum corposo, oltre ai numerosi spettacoli teatrali la ricordiamo: in “Crozza nel Paese delle Meraviglie” tra il corpo di attori che hanno affiancato Maurizio Crozza; come coprotagonista nel film campione d’incassi “Quo Vado” accanto a Checco Zalone e nella pellicola “Natale a Londra – Dio salvi la Regina” insieme al duo Lillo & Greg. Legatissima alla sua Reggio Emilia, torna in città ogni volta che può per godersi famiglia e amici. Un attaccamento alla sua terra manifestato anche durante l’ultimo Corteo Matildico, a Quattro Castella, dove Eleonora Giovanardi ha vestito i panni della celebre contessa. Il suo amore per l’Emilia è dimostrato anche dal nome che ha voluto dare al suo amato cagnolino Brisa, che in dialetto – come molti di voi sapranno – significa briciola.
Eleonora, hai incominciato ad appassionarti alla recitazione e al teatro fin da ragazza…
Sì, ho cominciato molto presto. Anche se all’inizio non sapevo bene di che si trattasse, avevo intuito che qualcosa di questa antichissima arte mi attraeva, profondamente. Ricordo perfettamente il giorno in cui mi sono detta ‘perché no, proviamo’. Avevo 14 anni ed ero seduta sulle scale della Ghiara, qualcuno mi ha allungato un volantino: promuoveva un corso di teatro all’ART, gruppo che anni dopo, con mutamenti vari, si sarebbe trasformato nella MaMiMò, compagnia di amici e colleghi con cui continuo a collaborare.
Ricordi ancora il tuo debutto sul palcoscenico? Che emozioni hai provato?
Ricordo bene il mio debutto, ma non è stato su un palcoscenico. Quel corso all’ART alla fine l’ho fatto e abbiamo concluso l’anno con un reading di poesie di Garcia Lorca – buffo, lo stesso autore con cui anni dopo ho debuttato al Piccolo Teatro di Milano, se me lo avessero detto allora! –. L’emozione che ho provato durante la lettura non la ricordo, ma immagino fosse qualcosa simile al panico, quello che ricordo perfettamente è il giorno dopo: ho sentito un vuoto, nero, profondo, come se mi avessero tolto qualcosa. Non so, sembra che il mio amore per la recitazione funzioni in negativo, come tanti amori: ti accorgi di quanto ti manca quando non ce l’hai.
Da Reggio Emilia a Bologna, per l’università, e poi Milano per frequentare la prestigiosa scuola d’arte drammatica Paolo Grassi…
Sono contentissima di avere seguito questo percorso. L’università è stata un’esperienza fondamentale sotto diversi punti di vista: ho trovato un gruppo di amiche nelle quali mi sono per la prima volta riconosciuta, ho incontrato dei professori che mi hanno letteralmente aperto la mente; per la prima volta ho sentito di avere una coscienza e una testa sulle spalle, la rifarei mille volte.
E poi c’è stato il grande volo a Milano, una città che mi ha conquistato a poco a poco e che ora lascerei con molta fatica. Milano non ti apre le braccia subito, ma se hai la pazienza di guardarla da vicino è un vulcano di bellezza.
Riuscire ad entrare in questa scuola non è certo semplice. Ogni anno sono moltissimi gli attori che si presentano alla selezione per tentare di essere ammessi. Ricordi il giorno del tuo provino, con quale pezzo sei riuscita a conquistare l’ammissione?
Ricordo il giorno del provino? Ricordo ogni minuto di quel giorno. Avevo portato un monologo tratto da Lotta di negro contro cani di Koltès, un dialogo tratto da Camere da letto di Ayckbourn e la poesia di Pasolini Supplica a mia madre.
E questo solo per la prima selezione, poi abbiamo frequentato per un’intera settimana la scuola Paolo Grassi e da questa prova ne è uscita una classe di quindici elementi, su più o meno cinquecento candidati.
Dal 2008, anno del diploma alla Paolo Grassi, la tua carriera ha avuto un’impennata. Diverse le esperienze e i ruoli in cui ti sei cimentata, dal teatro alla televisione insieme a Maurizio Crozza…
La sensazione che ho io da dentro non è proprio quella di un’impennata, mi sembra di avere lottato con i denti per ogni spettacolo, per ogni ruolo. Certo c’è di peggio, ma ti assicuro che non è un lavoro semplice, da nessun punto di vista: ti toglie il fiato quando lo fai, ti toglie il sonno e la tranquillità nei momenti di pausa. Questo è un lavoro indubbiamente affascinante, ma con gli anni, ho scoperto che è anche enormemente faticoso. La fortuna che ho avuto fino ad ora è stata quella di sperimentare diversi linguaggi (teatro, cinema, tv, performance) e di incontrare grandi professionisti che sono anche belle persone come Maurizio Crozza e Checco Zalone.
Infatti, non dimentichiamo il grande schermo. La partecipazione come coprotagonista nel film campione d’incassi di Checco Zalone, “Quo Vado?” ti ha dato molta notorietà, ma credo che soprattutto sia stata un’esperienza formativa…
È stata la mia prima vera esperienza cinematografica e grazie al fatto che tutto quello che fa Zalone ha una scala di grandezza sproporzionata, ho avuto la possibilità di passare molto tempo sul set, di rivedere le scene moltissime volte, è stata davvero la mia scuola di cinema. Avere di fianco Checco mi ha fatto divertire e sentire molto al sicuro. Sono stata fortunata, lo ammetto.
Qualche aneddoto divertente successo sul set?
Abbiamo girato per quattordici settimane, gli aneddoti abbondano. Sicuramente il momento del quale ho un ricordo vivido è il mio arrivo al Polo Nord. Dopo due giorni di viaggio in solitaria sono arrivata con un aeroplanino tra i ghiacciai, Checco mi saluta e mi dice “tra due ore giriamo”. Ora, ci rendiamo conto? Era il mio primo ciak, il mio primo vero ciak, ero al Polo Nord con Checco Zalone! Non ho nemmeno avuto freddo ero troppo concentrata, mi sembrava tutto così assurdo.
Con estrema facilità riesci ad interpretare sia ruoli drammatici sia comici, ma hai un genere che prediligi e che è più nelle tue corde?
Ho sempre amato i ‘dramun’ ma tutti dicono che riesco meglio nel comico, quello che so è che do il massimo quando ho la possibilità di raccontare storie belle, in cui credo, con persone a cui voglio bene. Sembra una banalità ma l’atmosfera che si crea sul set è uno degli ingredienti fondamentali per la riuscita di un film. E quando dico questo penso a Soledad, film in cui interpreto un piccolo ruolo, da pochi giorni nei cinema. Racconta la storia vera di Sole e Baleno due anarchici nella Torino degli anni ’90. Per varie vicissitudini che ha avuto il film, girarlo è stato davvero un atto di volontà e coraggio che inevitabilmente ci ha uniti molto.
Nel 2011, insieme ad altri tuoi colleghi, hai fondato Tap – Teatro d’arte popolare – è un progetto che continua?
TAP nasce nel castello di Montefiore Conca, vicino a Cattolica, un posto magico e creativo che invito tutti a visitare. TAP è una bellissima follia che continua, proprio quest’anno abbiamo riportato il nostro Don Giovanni a Monopoli al festival Maggio all’Infanzia. Il gruppo è nato dal desiderio di fare dialogare le maschere della commedia dell’arte con le guarattelle napoletane (piccoli burattini in legno), abbiamo usato come pretesto la storia di Don Giovanni e come scenografia una baracca che diventa spazio invaso e condiviso da tutti i personaggi, in carne e in legno.
Vivi a Milano, ma non hai dimenticato Reggio. Cosa ti manca di più della tua città?
Torno spesso a Reggio, non potrei mai dimenticare la mia città, me la porto dietro ovunque. Quando sono lontana mi manca ovviamente la mia famiglia: per me Reggio sono loro, Reggio è il cortile dove sono cresciuta e dove torno sempre, Reggio sono le case costruite da mio nonno, Reggio è il prosciutto che non manca mai, il lambrusco che scende come coca-cola, è quell’essere onesti, concreti e diretti che ti porti dietro anche sui Navigli.
Ti abbiamo vista di recente interpretare Matilde di Canossa nello storico corteo di Quattro Castella…
È stata un’esperienza molto intensa, non me l’aspettavo. Ho sempre sentito parlare del Corteo, ma non immaginavo fosse una rievocazione così imponente. Rivestire il ruolo di Matilde sulla quale si concentra l’attenzione e l’attesa di tutti e per di più essere una Matilde nostrana, voluta e cercata dal comitato matildico da almeno due anni, è stata un’emozione fortissima. Per un attimo, di fronte a quella folla con quei costumi pesanti, mi sono sentita la Contessa e difficilmente dimenticherò quella sensazione.
Quali sono i progetti su cui stai lavorando?
È un momento molto intenso.
A luglio girerò una fiction RAI e la seconda stagione di Involontaria, la serie della onlus Officine Buone, con cui collaboro ormai da anni. Nel 2020 riprendo La Prova, uno spettacolo che ha debuttato lo scorso inverno a Milano e poi si vedrà. Spero, comunque, di poter continuare a fare quello che amo.