di Riccardo Caselli

I tre ingegneri che hanno realizzato l’impresa

Sono le dieci di sera, mi trovo in hotel a Bangkok e – cosa che non faccio mai – accendo il televisore. E sul canale del National Geographic, mi imbatto nella cosa più bella che ho visto in tv in trentacinque anni.
L’episodio fa parte di una breve serie risalente al 2011, apparentemente di scarso seguito, chiamata “How hard can it be?”, e la puntata si chiama nello specifico “Flying House”. Consiglio di cercare l’episodio online, tuttora disponibile su siti quali Dailymotions.
Protagonisti del programma sono tre amici ingegneri, i quali ispirati dal film della Pixar “Up”, dove il protagonista – un anziano – fa volare la propria casa con dei palloncini colorati da festa, decidono di cercare un modo per riprodurre questa scena di fantasia, nella realtà fisica.
La prima parte della puntata è un affascinante studio, per tentativi, di come far volare una casa attaccata a dei palloncini, in accordo alle leggi della fisica, scontrandosi con problemi apparentemente insormontabili. Ma la tenacia di questi ingegneri è ammirevole e così lavorando serratamente per un mese, costruiscono la casa e i palloni ripieni di elio che dovranno farla decollare.
Nella corsa verso quella che diventerà peraltro un’impresa registrata nel Guinness World Record, i tre ingegneri convincono due tra i più grandi piloti di mongolfiere al mondo ad entrare nel progetto: dovranno stare a bordo e pilotare la casa volante il giorno del decollo.
La cavalcata verso l’ora X è entusiasmante e piena di insidie. Un lavoro che sembrerebbe degno di una squadra, viene svolto sostanzialmente solo da questi tre amici, i quali non solo trovano un modo di progettare l’impresa, ma manualmente segano assi di legno, avvitano bulloni, comprano pannelli e pezzi di metallo. Assistiamo così al sommario di giorni e giorni di sudore, errori nell’assemblaggio che li costringono a inventarsi soluzioni alternative per non dover ricominciare tutto da capo. E poi li vediamo ottenere l’approvazione dell’ente di aviazione per procedere al decollo, tassativamente alle sei di una mattina. Di qui la corsa contro il tempo, visto che hanno solo una chance di fare l’impresa: assistiamo dunque a dodici ore consecutive di lavoro nel deserto per completare la struttura prima del lancio, nella notte, sotto i riflettori giganti installati per l’occasione.
Tanto ingegno, ma anche tanto lavoro manuale. Lo show ci mostra anche il panico quando il tetto viene montato al contrario a poche ore dal lancio e va immediatamente corretto. L’apprensione che sopraggiunge quando è ora di decollare e i tre ingegneri diventano pienamente consapevoli che la vita di due piloti è in gioco: non avendo mai nessuno provato questa impresa prima di allora, non vi è modo di essere certi che la struttura sia del tutto immune da errori e adatta a volare (e atterrare). Vediamo un accenno di sconforto quando la casa pare non prendere quota, sulle prime. E infine l’esplosione di gioia, la commozione, quando un sogno impossibile diventa realtà: una casa appesa a palloni colorati che vola sui cieli della California, proprio come nel cartone della Pixar.
Quando la puntata si è conclusa ho pensato: questi tre ingegneri dovrebbero essere molto più famosi! Quello che hanno fatto è davvero straordinario.
E invece oggi, se facciamo caso, diamo un grande risalto ai business intangibili, ai parolai, alle personalità social o mediatiche. Ci tocca fare l’inchino a Chiara Ferragni perché è una grande imprenditrice, è un’Italiana che ha avuto successo. Sì vero, glielo riconosciamo. Però possiamo anche permetterci – senza invidie – di ritenere che il genere di business che si basa sulle foto di Instagram è pure un po’ una cazzata? Che l’imprenditrice c’è, ma che poi vi è anche impresa e impresa?
Perchè scusate, sarà preferenza personale, ma nel sudore di quegli ingegneri, nel vederli avvitare i bulloni sdraiati a testa in su, nel progettare e fare calcoli, nel superare apparenti limiti della fisica, ho trovato una maledetta concretezza. Tanta, ma tanta sostanza, rispetto a due filtri, una posa e i tanti venditori di fuffa che oggi giorno vanno assai di moda.
E alla fine quando hanno trasformato un sogno in realtà, con un’impossibile casa appesa a palloni colorati là per aria, ci ho visto anche un’immensa poesia. Quel tipo di poesia che germoglia solo da tanto sudore, polvere e pure qualche acciacco.