Una stabilità documentata dell’incidenza del cancro in Italia e un miglioramento continuo delle tecniche e delle terapie per curare i tumori e delle pratiche di prevenzione secondaria per identificarne precocemente alcuni. Sono le premesse che hanno spinto Alessandra Ferretti, giornalista scientifica di Reggio Emilia che da anni scrive per Il Sole 24 Ore Sanità 24, a riformulare la concezione attuale della malattia cancro e a proporla attraverso un libro. “Si chiama cancro. Smettiamo di avere paura” (2019, ed. Aliberti) è il suo titolo – impegnativo quanto delicato. I proventi andranno tutti alla Struttura Complessa di Oncologia medica del Santa Maria Nuova Irccs di Reggio Emilia.

Ferretti ha svolto un’operazione intelligente. Ha fatto parlare chi tutti i giorni si confronta con diagnosi, terapie, pazienti e familiari. Il libro si distingue dal comune taglio dell’esperienza personale per dare un valore aggiunto attraverso le voci di tutti i componenti del percorso oncologico. Una professionalità tutta reggiana, che contraddistingue l’azienda USL-IRCCS di casa nostra. Ferretti ha infatti intervistato, in ordine di pubblicazione, Fausto Nicolini, Direttore Generale AUSL-IRCCS di Reggio Emilia e i Direttori dei singoli reparti: Carmine Pinto, per l’Oncologia medica, Cinzia Iotti, per la Radioterapia oncologica, Claudio Pedrazzoli, per la Chirurgia I a indirizzo oncologico e ricostruttivo, Romano Sassatelli, per la mGastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Annibale Versari, per la Medicina nucleare e Alberto Cavazza, per l’Anatomia Patologica. Chiude il libro un’appendice che racconta anche il punto di vista opposto, quello del giornalista e dell’ascoltatore, con un’intervista a Manuela Catellani, conduttrice della trasmissione di Telereggio, Il medico e il cittadino.

Alessandra Ferretti – Foto Bruno Cattani

Spiega Ferretti: «Oggi la questione “cancro” non può più essere relegata al solo rapporto medico-paziente. Perché è una questione che ci riguarda tutti: malati, familiari, istituzioni, media, cittadini sani. Guardiamo i numeri. I nuovi dati sull’incidenza dei tumori in Italia (dati Airtum Aiom in collaborazione con Fondazione Aiom, Passi e Siapeg) mostrano come in Italia abbiamo 2mila diagnosi di tumore in meno all’anno. Ma rimane il fatto che nel nostro paese si ammalano di tumore 371mila persone (mille nuovi casi al giorno). È vero che di cancro si muore ancora, meno che in passato, ma si continua a morire. Ed è vero che il cancro, in quanto tale, fa ancora paura. Ma il rovescio della medaglia qual è? Possiamo contare su un miglioramento continuo delle tecniche e delle terapie per curare i tumori e delle pratiche di prevenzione secondaria per identificarne precocemente alcuni. Gli strumenti sono diversi: dalla chirurgia oncologica (se e quando indicata) ai trattamenti adiuvanti: chemio-, radio-, immunoterapia, terapie target, in futuro probabilmente profilazione genomica, medicina di precisione».

A fronte di questi due scenari (malattia e cura), qual è la percezione della malattia cancro nell’immaginario collettivo (tra le persone comuni che hanno a che fare comunque con altre persone che sono state colpite dal tumore)? Risponde Ferretti: «Fino a diversi anni fa, la parola “tumore” non si poteva neanche nominare, era il “il brutto male”, poi è diventata “la lunga malattia” (lo leggiamo ogni giorno sui giornali). Dall’altra parte, si è cominciato ad utilizzare la malattia cancro come “metafora”, imponendo il suo orrore ad altre cose. Lo descrive bene Susan Sontag negli anni ’70 nel pamphlet “Malattia come metafora”. Come si deve sentire un malato ogni volta che apre il giornale e legge dichiarazioni riportate come “la mafia cancro della società”? La mafia, la cosa più subdola, invincibile, infiltrante che ci possiamo immaginare? Se il paziente oncologico anche razionalizza il contesto e ragiona lucidamente, nel suo inconscio qual è la sensazione che gli rimane?».

Ma non è finita. Prosegue ancora l’autrice: «La percezione generale della malattia cancro cade poi nel suo esatto opposto ovvero in definizioni che sono arrivate a “celebrarne” addirittura i lati “buoni” e che vengono diffuse in maniera incontrollata attraverso i mezzi più utilizzati di oggi: i social network. Un esempio di questa “celebrazione” è l’utilizzo incontrollato (e insensato) del linguaggio bellico-militaresco. Il quale diffonde una retorica del cancro secondo cui “vince chi lotta”. Ma la realtà è ben diversa. Quando ad un malato oncologico si attribuisce il ruolo di guerriero lo si rende responsabile di un “evento” che non può controllare – non fino in fondo almeno».

Qual è la conclusione di Ferretti? «Negli Stati Uniti il tumore viene considerato “malattia cronica”. Riusciremo anche noi ad entrare in quest’ottica? Ad adeguarci all’idea di convivere col tumore come si convive con altre malattie croniche (diabete, ipertensione) o altre che paradossalmente creano più decessi (cardiopatie…). di cui però non si ha così paura (perché?)».

Il libro propone l’A-B-C della diagnosi, delle terapie e della comunicazione della malattia secondo i medici del nostro IRCCS. In un modo che non mette paura, al contrario. Riusciremo anche noi a concepire questa malattia riportandola, come scrive l’autrice, al suo “grado zero”?