Quando si perde si perde, non conta di quanto e in Emilia Romagna a perdere è stato Salvini. Intendiamoci: il centro- destra è andato bene come mai nella storia, ha vinto in molte zone della regione e in intere province, però la Borgonzoni ha preso il 43% dei voti e Bonaccini il 51%. Il risultato dimostra che nella campagna elettorale asimmetrica, con Bonaccini proteso a portare il dibattito sul piano regionale, oscurando i partiti e con Salvini impegnato sui temi nazionali, a costo di oscurare la Borgonzoni, ha vinto e non di misura il primo. Perché lo schema Salvini che aveva trionfato in Abruzzo, Basilicata e soprattutto in Umbria non ha funzionato? In primo luogo si trattava di regioni dove il Pd aveva governato male ed era pure stato colpito da inchieste, poi i candidati della sinistra non erano governatori uscenti, ma illustri sconosciuti al pari di quelli del centro- destra.
Infine in queste regioni il centro di Forza Italia e delle liste civiche aveva tenuto e vi era stata una maggior coralità dello schieramento di centro- destra. In Emilia Romagna la sfida è stata a due, Berlusconi ha fatto una rapida apparizione ed è scomparso come il suo partito, sceso sotto il 3%, la Meloni che pure ha moltiplicato i suoi voti, ha fatto il minimo sindacale, visto che il rischio con l’eventuale opportunità, se lo era caricato Salvini. La paura del barbaro ha partorito, nei salotti della borghesia economica e intellettuale della regione, le Sardine, un modo nuovo, più fresco, di agitare il vecchio armamentario della sinistra, quando vuole demonizzare l’avversario. La resistenza contro il pericolo “fassista”, le canzoni partigiane, il solito buonismo razzista, che chi non vota a sinistra è per forza sporco e cattivo. Questo confronto ha galvanizzato l’elettorato di destra, ma soprattutto quello di sinistra che pur stanco, si è rianimato riportando il Pd sopra la Lega. La macchina di potere ha fatto come sempre egregiamente il suo lavoro e Bonaccini ha capitalizzato il consenso in più che ogni amministratore uscente ha, prosciugando sinistra alternativa e 5 Stelle, ridotti entrambi ai minimi termini.
La Lega nazionale ha imposto è vero candidature civiche e moderate, come la Rubertelli a Reggio Emilia, contro il parere della nomenclatura locale, ma nonostante la candidata abbia preso oltre tremila preferenze, portando presumibilmente un buon pacchetto di voti aggiuntivi, non ha conquistato il seggio, perché, con un eccellente gioco tattico, il deputato Vinci ha utilizzato come traino due candidati maschili, Melato e Rovesti, per fare da traino alla vera candidata, la Catellani, con cui divide lo studio legale. Il che lascia la Lega nelle solite mani e con i soliti problemi. Va bene nelle competizioni dove il traino è Salvini e male quando deve correre da sola, la riprova è che, in tutta la provincia di Reggio, non vi è neppure un sindaco leghista. L’elettorato di centro non ha più riferimenti, vista la caduta di Forza Italia e il modestissimo risultato del Popolo della Famiglia e di Cambiamo. Dopo lo scampato pericolo, a sinistra sono riemersi toni trionfalistici, che nascondono il fatto che la regione simbolo è diventata contendibile e che la sinistra ha vinto perché si è mascherata dietro le Sardine e Bonaccini. Se avesse perso nella nostra regione, l’effetto sarebbe stato deflagrante, come se la Lega perdesse il Veneto. Resta da dire dei 5 Stelle che hanno presentato un candidato che neppure loro hanno votato, applicando in larga misura il voto disgiunto. Francamente incomprensibile, se volevano sostenere Bonaccini, dovevano fare un’alleanza come in Umbria: avrebbero beneficiato del premio di maggioranza e sarebbero al governo della Regione, invece ormai si può parlare solo di polvere di Stelle.