di Mariachiara Spallanzani
Ha attraversato un secolo in bicicletta, non pedalandoci sopra, ma seguendo e prendendosi cura, con amore paterno, del fisico e dell’anima di tutti i suoi più grandi campioni. Il mito di Giannetto Cimurri, classe 1905, uomo di sport, confidente e ‘mano santa’ di moltissimi atleti, rivive nella bella mostra allestita al Credem fino al prossimo 30 aprile con le trentasei bici che rappresentano la storia del ciclismo e con i tanti e preziosi cimeli che raccontano un mondo passato, fatto di valori, di sacrificio, di sudore, di amicizia. Definito il masseur dei campioni, e considerato da loro stessi un amico, Giannetto è stato anche un grande padre e un amatissimo nonno. E’ con l’indispensabile contributo della famiglia infatti, che questa mostra è stata resa possibile. I ricordi, i cimeli, i momenti preziosi vissuti da figli e nipoti sono stati messi a disposizione del pubblico perché la figura di questo signore del secolo scorso potesse emergere in tutta la sua grandezza.
Veronica e Giovanni Cimurri, figli rispettivamente dell’indimenticabile Chiarino, scomparso nel 2004, e di Giorgio, raccontano il nonno Giannetto, maniaco della precisione e della disciplina, rispettoso degli altri, capace di grandi tenerezze e compagno di memorabili pedalate.
Cosa ha significato per voi organizzare questa mostra che ripercorre i successi di vostro nonno, Giannetto Cimurri?
Giovanni: ‘Poter realizzare questa esposizione è stato prima di tutto un omaggio al nonno per tutto quello che ha fatto per noi e per Reggio.
Ed è stata anche l’occasione per scoprire cose, aneddoti e vicende che non conoscevo.
Il nonno Giannetto è sempre stato orgoglioso della sua città, di poter portare la reggianità ed il tricolore nel mondo come membro della Nazionale. Quindi una mostra importante per la famiglia, per la città ma anche per tutti gli appassionati che verranno a visitarla.
Tanti sono i valori che questa mostra trasmette: un mondo che oggi non c’è più, fatto di sacrificio e di impegno. Cosa che abbiamo cercato di trasmettere anche attraverso foto emozionali, audio d’epoca per vivere con i diversi sensi le emozioni di un tempo.
Veronica: Abbiamo cercato di far capire alla gente cos’era il nonno ma anche cos’era il mondo ai suoi tempi e quanto il ciclismo non fosse solo uno sport ma anche una disciplina a cui le persone si potevano aggrappare per trovare sicurezza, speranza, gioia, in momenti difficilissimi come quelli del dopoguerra.
Il nonno curava indistintamente il campione Fausto Coppi, il vicino di casa che aveva preso una storta, il tenore Tagliavini che aveva male a una spalla o il pugile che si era fatto male, con tutta la professionalità e la passione che aveva insita. La scelta delle foto è stata ardua, e Giovanni mi ha dato un grande supporto in questo, perché abbiamo dovuto fare una selezione tra più di tremila immagini. L’idea era di trasmettere il rapporto che il nonno aveva con i ciclisti italiani e non solo: era loro amico, confidente e confessore.
Una figura che oggi forse è difficile trovare. Il presidente del Credem ha giustamente parlato di “mental coach”, una definizione non distante dalla realtà.
Giovanni: Era per tutti e di tutti.
Veronica: Credo che questo rapporto così stretto coi suoi atleti nascesse dal fatto di aver vissuto insieme momenti intensi di fatica di sacrificio e di gioia. Ne è un esempio quello citato da Danilo Barozzi, uno dei suoi ciclisti, oggi arzillo 93enne, che ha sottolineato quanto Giannetto l’avesse spronato a tenere duro durante un massacrante Tour de France per potersi pagare la casa con il premio finale. Lui pensava anche al futuro dei suoi ciclisti, non solo ai loro muscoli.
Nelle parole dei campioni che sono stati seguiti da Giannetto Cimurri infatti è emersa la figura di un soigneur, cioè non solo un massaggiatore, ma un curatore, di corpi e anche di anime. Un dispensatore di consigli preziosi, uno psicologo, un custode di segreti e confidenze. Com’era con voi il nonno Giannetto?
Veronica: il nonno era severo, pretendeva disciplina, che ricambiava con momenti di dolcezza infinita. Era molto attento alle qualità delle persone, ed aveva grande rispetto dell’impegno degli altri. Il ricordo più intenso che ho di lui è la sua figura nella stanza dei cimeli a casa sua (il primo abbozzo di museo), chino a scrivere le sue memorie, sistemare raccoglitori, francobolli, monete telegrammi. Un vero e proprio accumulatore seriale di ricordi.
Giovanni: Da piccolo diventai il suo giovane assistente, dandomi svariati compiti da eseguire. A mia mamma diceva: “nani manda qui il pupo”, per farsi aiutare, e sistemare insieme le sue cose, con maniacale precisione. Un aspetto del suo carattere del quale mi rivedo in pieno.
Veronica: Aveva istituito il Premio disciplina. Un riconoscimento davvero geniale, durato svariati anni e di grande successo, al quale il nonno era legatissimo.
Veniva premiato il ciclista reggiano distintosi, non solo per bravura ma anche soprattutto per correttezza. Il vincitore veniva premiato da nomi illustri del ciclismo ( Adorni, Moser) a testimonianza della crescente importanza che la manifestazione aveva assunto.
Anche nella gestione del suo Museo della Bicicletta ha sempre dimostrato grande autonomia ed intraprendenza. Si occupava personalmente di qualunque esigenza ed in particolar modo dei contatti con le scuole. Scriveva ai presidi per organizzare visite guidate con le classi dove diventata guida e cicerone personale. Tanti gli amici ciclisti che venivano a trovarlo.
Un giorno andai al Museo, aprii la porta e vidi uscire Pantani. Di fronte al mio stupore il nonno mi guardò dicendo: “Si, era Pantani” come fosse la cosa più normale. “E’ venuto a trovarmi in bici da Cesenatico e ora torna a casa!”.
Da nipoti, come percepivate il suo attaccamento al lavoro, la passione che metteva in quello che faceva
Veronica: Ha avuto una immensa passione per il suo lavoro fino alla fine. Già anziano, pur di non smettere di pedalare, si dedicava ogni mattina una piccola sgambata su di una vecchia cyclette.
Giovanni: Quando mio fratello ed io andavamo a trovarlo e ci sedevamo davanti alla televisione per vedere una corsa ciclistica, non mancava mai di prenderci il braccio ed iniziare a massaggiarlo o a tastarci il polso, come aveva fatto per tutta la vita con i suoi atleti.
Veronica: Sentire il polso era una cosa che faceva sempre, tante sono le fotografie che lo testimoniano: in particolar modo con Fausto Coppi, incredibilmente bradicardico.
La passione della bicicletta è impressa nel DNA famigliare. Come vivono le due ruote le nuove generazioni della famiglia Cimurri?
Giovanni: Io ho ricevuto a 18 anni dal nonno una bicicletta Atala, ma non l’ho mai usata! Da ragazzino ho preferito tennis e calcio. A causa di una malattia, non potendo avere un contatto fisico con altri giocatori, ho iniziato con il papà Giorgio ad andare in bicicletta. E si è trasformata in autentica passione.
Veronica: Io dal nonno ricevetti come regalo di promozione una bici rossa da corsa con cerchi in legno che molti mi invidiavano. In vacanza insieme ogni mattina era d’obbligo il giro in bici. Non era facile stargli dietro, perché il nonno tirava parecchio! Mi portava sulle colline dell’entroterra romagnolo e si raccomandava che non raccontassi a nessuno delle veloci e rischiose discese che affrontavamo.
Giovanni: Lo ricordo bene anche io ! Una volta da Portoverde il papà e il nonno mi portarono in bicicletta fino a San Marino per andare a comperare le carte da gioco per la nonna: sono tornato distrutto! Non ho più voluto vedere una bicicletta per anni!
Veronica: Nei nostri giri arrivavamo a una fontana, al culmine di una salita, che si diceva avesse un’acqua speciale. Arrivati fin su, mi riempiva le borracce che mi infilava nelle tasche posteriori, mi sistemava sotto la maglia una Gazzetta dello Sport a riparo del vento, e via verso la tappa d’obbligo successiva: un vecchio fornaio per prendere il pane da portare alla nonna.
Giovanni: mi chiamo Giovanni come lui, ma al momento della nascita ci fu un acceso dibattito in famiglia perché per lui avrei dovuto chiamarmi Eddy! Come Eddy Merckx.
La vostra famiglia ha dato tanto allo sport reggiano, e non. Secondo voi è ancora viva in città la passione che ha animato prima Giannetto e poi Chiarino?
Giovanni: Credo proprio di si. Nelle varie squadre della città, sia nel calcio che nel basket, ma anche in altre discipline, c’è un grande impegno per sostenere lo sport cittadino con coinvolgimento dei settori giovanili.
Veronica: Reggio si è distinta sempre per impegno ed ospitalità di importanti manifestazioni, non ultimo il Giro d’Italia.
Che valenza ha lo sport nell’educazione dei giovani?
Giovanni: lo sport è uno dei cardini del mondo. Pensiamo solo al movimento della bici elettrica, che ha riportato migliaia di persone che non si muovevano più a rimettersi in gioco, o quello del running…
Lo sport trasmette valori eccezionali, in grado di salvare e svoltare le vite delle persone. E’ una grande opportunità per tutti.
Veronica: ho ovviamente da sempre un debole per il tennis ma adoro qualsiasi tipo di sport. Penso che il talento da solo non basti. E’ necessario avere accanto persone che tengano gli atleti con i piedi per terra, istruttori e i tecnici che aiutino i ragazzi a capire che dietro alle medaglie, alle coppe e ai grandi guadagni, ci sono il senso del sacrificio, dell’impegno, dell’umiltà.
Giovanni: A Cesenatico lo zio aveva realizzato un centro tecnico per i giovani, perché quella è la base di partenza. Investire sui giovani è fondamentale, con tutto quello che ne consegue. Ed è importante trasmettere già da subito i valori fondamentali insiti nello sport.
Giannetto, Chiarino, Giorgio, e anche voi. Nella vostra vita in simbiosi con tante discipline sportive, dal ciclismo al tennis, al calcio, al basket, avete incontrato tanti campioni. Chi vi è rimasto impresso o con chi avete mantenuto un rapporto nel tempo?
Giovanni: Io, oltre all’esperienza di famiglia, ho lavorato diversi anni in Enervit e ho avuto la fortuna di conoscere Alex Zanardi, leggenda dello sport italiano che si prodiga in iniziative benefiche, un vero esempio. Tuttora continua a impegnarsi per gli altri, ha dato vita a una associazione, Bimbi in gamba, per i ragazzini con determinate problematiche e disabilità. Di recente ha realizzato un nuovo progetto Obiettivo 3, per consentire a ragazzi diversamente abili di poter sognare obiettivi importanti come le paralimpiadi. Da 10 ragazzi iniziali sono quasi 50, tra gare di ciclismo, triathlon, atletica, in handbike o carrozzina olimpica. Alex rimane un grande esempio, soprattutto per il bene che mette a disposizione degli altri.
Veronica: Ho ancora tanti contatti con i tennisti, in particolare Paolo Bertolucci. Una persona dall’impressionante cultura sportiva, unico italiano al quale è stato chiesto di far parte dell’entourage di Roger Federer.
Il museo della bicicletta. L’altra sera il Sindaco ha preannunciato la creazione di una Hub alla Polveriera. Poi Romano Prodi è intervenuto auspicando che si faccia qualcosa di ‘grande’, che possa diventare un richiamo internazionale per tutti gli appassionati di ciclismo e che possa colmare un vuoto, dato che un Museo della bici importante, ancora non esiste. Voi cosa ne pensate?
Giovanni: Siamo a disposizione con tutto il nostro know-how per creare qualcosa di importante ed innovativo. In questo senso la collaborazione con il Credem è stata davvero illuminante e preziosa. Il museo dovrà diventare un luogo in grado di trasferire valore, creare aggregazione nel nome dello sport e del ciclismo. Un progetto insomma a 360 gradi. Veronica: Il fatto che tanti visitatori tornino con i propri nipotini a visitare la mostra, è di grande soddisfazione.
Giovanni: Non dovrà essere per forza una progetto strettamente sportivo, l’aspetto vincente di questa mostra ospitata nel spazi del Credem è stato quello di portare una storia sportiva in un ambiente non sportivo dove arte, artigianalità e passione si fondono in una storia tutta italiana.
Giovanni e Veronica: Vorremmo a due voci ringraziare ancora una volta tutto l’incredibile team di lavoro del Credem che tanto ci ha “sopportato” e supportato in questi mesi di intensa collaborazione. In ultimo rispettivamente papà Giorgio e mamma Giuliana per l’aiuto, la tenacia e l’instancabile voglia di arrivare in fondo a questa grande avventura.