di Dario Caselli
Amazon e altri colossi della tecnologia hanno deciso di disertare, per i timori legati al coronavirus, il Mobile world congress che si tiene non a Wuhan o a Pechino, ma a Barcellona. Apple ha rinviato a data da destinarsi il lancio del suo nuovo Iphone e altri prodotti. Sempre più compagnie aeree stanno tagliando le comunicazioni con la Cina, rendendo più difficili anche le vie del business. Sono solo alcuni dei molti segnali che il virus non sta infettando solo le persone, ma anche le economie mondiali. Se il Fondo monetario diceva pochi giorni fa che era troppo presto per calcolare i danni economici, anche la famosa casalinga di Voghera ha capito che se si fermano le fabbriche cinesi, rallentano i commerci e la circolazione delle persone, l’economia non può crescere, questo anche senza tener conto del report World Bank che ipotizza una caduta di 5 punti del pil mondiale, se il coronavirus dovesse diventare pandemia e per fortuna non è così. Anche il parallelo con la Sars non regge, la Cina pesava sull’economia mondiale per il 4-5%. Oggi vale il 17%, e se il danno nel 2003 fu di 50 miliardi, oggi è stimato fino a 360 miliardi di dollari Anche volendo essere razionali e prudenti, lo scenario è pesante ed è pure difficile da calcolare, perché nessuno crede che i dati che giungono dalla Cina siano del tutto veritieri e questo compromette la fiducia, che è alla base del business, mentre l’incertezza è alla base delle crisi. L’area più colpita è quella limitrofa: Vietnam, Cambogia e Laos, poi Myanmar, Thailandia, Filippine e Singapore. L’effetto sarà grave anche in quella parte dell’Africa più legata alla Cina, come l’Etiopia, che già ha seri problemi di povertà e in cui una recessione potrebbe aumentare pure l’instabilità politica. Non ne è immune un’Europa come sempre disunita e incerta, con la nazione guida, la Germania, che pagherà un prezzo alto e che non potrà che riflettersi anche sulla nostra Italia, in perenne crisi politica e in cui la crescita manca da decenni. Per il nostro import, la Cina è al terzo posto, mentre è al nono per l’export, dovremmo risentirne meno, anche se toccare il fondo non è detto che basti, si può sempre scavare. Vi è poi da dire che nei rapporti col Dragone, siamo stati un po’ schizofrenici.
Primi fra i grandi ad aprire la via della Seta anche a costo di tensioni con gli Stati Uniti e rapporti più tesi anche con Francia e Germania, ma pure i soli, fino a questo momento, ad avere chiuso i voli da e per la Cina. Tutto questo peraltro è in linea con il governo a maggioranza grillina, in cui il Pd non esprime alcuna posizione, nella speranza di guarire le sue ferite e tornare competitivo, anche se ciò rischia di avvenire sulla pelle del Paese. Ci balocchiamo sulla prescrizione e sul processo a Salvini, mentre giacciono irrisolte le crisi Ilva, Alitalia, Meridiana e altre, nel frattempo è facile prevedere una forte crisi del comparto turistico, non solo perché dall’Asia non parte più nessuno, ma perché le persone si muoveranno meno e mentre la malattia prosegue, la primavera e l’estate si avvicinano. Previsione facile, visto che del virus si conosce poco e il solo modo di arginare il contagio è la quarantena. E ‘il solo modo, in attesa del farmaco miracoloso, di proteggere gli uomini, ma non serve a proteggere la nostra economia molto più dipendente dalla globalizzazione, di diciassette anni fa.
Sarebbe il caso che invece di ricevere le sardine, il nostro Giuseppe invitasse le forze di maggioranza e opposizione ad un tavolo comune. Per cercare di lavorare seriamente e concordemente, ad una rete di protezione dal contagio in agguato sulle imprese e sulla principale industria italiana, quella del turismo, anche perché caduto l’export, non possiamo certo far affidamento su consumi interni che da anni languono. Anche se so bene che questi non sono i tempi della ragionevolezza, avremmo tutti il dovere di chiedere responsabilità all’intera classe politica.