Di Edoardo Tincani
Pubblichiamo l’intervista a don Matteo Bondavalli che approfondisce il decreto su SPECIALI INDULGENZE AI FEDELI E SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE NELL’ATTUALE SITUAZIONE DI PANDEMIA emanato dal vescovo Camisasca in data 26/03/2020
SCARICA IL TESTO DEL DECRETO SU INDULGENZE E CONFESSIONE
La roccia a cui attaccarsi in questo tempo di fragilità, inquietudini e drammatiche solitudini resta la misericordia divina. Misericordia che, come ha ricordato il Papa nella seconda udienza trasmessa in diretta streaming dal palazzo apostolico vaticano, “non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana, è “l’aria da respirare”.
Misericordia è anche la parola chiave attraverso cui leggere il recente Decreto della Penitenzieria Apostolica “circa la concessione di speciali Indulgenze ai fedeli nell’attuale situazione di pandemia” e le conseguenti disposizioni diocesane emanate dal vescovo Massimo Camisasca il 21 marzo 2020, che pubblichiamo integralmente in questa pagina per la più ampia conoscenza.
Per una loro corretta ricezione e per approfondire il tema del perdono intervistiamo don Matteo Bondavalli, parroco dell’unità pastorale “San Giovanni Paolo II” in Reggio Emilia e direttore dell’Ufficio Liturgico.
Nella prima parte del decreto vengono presentate le categorie a cui l’Indulgenza plenaria è accordata. Qual è il criterio che sta alla base?
Direi la cura. Anzitutto ci sono i fedeli affetti da Coronavirus, a cui sono dirette le azioni di farmacisti, medici, infermieri e volontari del soccorso; poi gli operatori sanitari e i familiari, che si prendono cura dei malati donando tempo e vita; infine tutti i fedeli che accudiscono il prossimo più bisognoso o esposto attraverso la loro preghiera, praticando le opere di misericordia.
In questo tempo tante sono le occasioni di vivere la comunione nella preghiera offerte dal Papa, dalla Chiesa italiana e dalla Diocesi: cito solo la Benedizione “Urbi et Orbi” del 27 marzo, il Rosario per il Paese nella solennità di san Giuseppe o la Messa quotidiana trasmessa in tv e su internet dalla cappella del vescovado di Reggio Emilia. Rivolgere il cuore alle membra sofferenti della Chiesa è l’azione attraverso cui in tanti sperimentano la grazia di Dio. Avendo cura del prossimo, ci si accorge di quanto Dio ami ciascuno di noi.
Si può dire che le preghiere dei fedeli compensano quelle che malati e moribondi non possono elevare?
In un certo qual modo sì, esse si affiancano a quel dialogo fra Dio e il malato che per certi aspetti è misterioso a nostri occhi, perché solo Dio conosce fino in fondo il cuore dell’uomo. Forse però mai come ora stiamo riscoprendo il valore della comunione dei santi, che si è resa più visibile attraverso queste forme eccezionali che già il Concilio Vaticano II aveva previsto e che oggi trovano applicazione. L’Indulgenza plenaria in questo periodo, ad esempio, attinge proprio al tesoro che proviene dalla comunione e dall’intercessione dei santi, in primis quella di Maria, come si legge nella Lumen Gentium al numero 49.
Con il Covid-19 cambiano anche le attenzioni pastorali nei confronti dei malati ricoverati in strutture sanitarie. In che modo?
La discriminante è che spesso i malati di Covid-19 non possono essere visitati, dunque per il sacerdote è più difficile raggiungerli. La possibilità dipende anche dalle disponibilità che ogni struttura sanitaria può mettere in campo, dando al presbitero tutte le istruzioni necessarie per un incontro a distanza, perché la visita vera e propria al capezzale è consentita esclusivamente al personale sanitario.
Concretamente, come si può fare?
Secondo me può instaurarsi una buona collaborazione con gli operatori sanitari per fare in modo che, così come essi si prendono cura di trasmettere al paziente il saluto dei familiari, possano anche informarlo che lì vicino c’è un sacerdote che sta pregando per lui, quindi invitarlo, se è cosciente e lo desidera, ad entrare a sua volta in un clima di preghiera e di contrizione. Ciò può arrecare sollievo al malato.
La seconda parte del decreto si sofferma sul malato in punto di morte, che spesso non è in grado di esprimersi…
L’Indulgenza plenaria si può applicare anche al fedele che si trovi in questa situazione; il testo, richiamando il Catechismo della Chiesa Cattolica, suggerisce che la persona rivolga la sua attenzione a un Crocifisso, se nella stanza è presente o se c’è la possibilità di farglielo avere, per contemplare il mistero di Cristo nella sua passione, morte e risurrezione. Eventualmente si potrebbe pensare alla possibilità di fare avere al malato in fin di vita un cartello che gli permetta di leggere o ascoltare le parole della formula di assoluzione.
Perché tentare anche queste strade?
Perché abbiamo sempre bisogno di vivere i sacramenti attraverso una parte sensoriale nella nostra vita: noi siamo toccati dalle parole e dai gesti… In questo caso – con la collaborazione del personale sanitario – è importante la possibilità di recarsi nei pressi di uno o più malati raggiungendoli con parole di salvezza eterna.
Com’è strutturata la formula assolutoria, in casi del genere?
Le parole sono quelle del sacramento della Confessione – “Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel + nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” – con la possibilità di fare riferimento alla formula relativa all’Indulgenza plenaria, “per autorità di papa Francesco e concessione del vescovo Massimo”.
La parte terza del testo firmato dal Vescovo tratta anche dell’assoluzione a più penitenti senza previa confessione individuale. È una novità assoluta?
No. Il Diritto canonico contempla i casi in cui è concessa l’assoluzione collettiva a più fedeli anche senza che essi compiano la cosiddetta accusa dei peccati. Le fattispecie sono quelle del pericolo imminente o della grave necessità. Nella pandemia che viviamo possono configurarsi questi due scenari: le persone che potrebbero aver bisogno dell’assoluzione collettiva sono ad esempio quelle costrette nei reparti ospedalieri o nelle case di riposo isolate in seguito all’accertamento di contagi da Coronavirus.
In questi casi come si interviene nelle strutture interessate?
Il decreto dispone che durante l’emergenza sanitaria a poter impartire l’assoluzione a più penitenti senza previa confessione individuale siano i sacerdoti e i religiosi nominati dal Vescovo, sempre che gli ammalati siano in pericolo di vita o si trovino in reparti ove non sia possibile garantire le adeguate misure sanitarie per impedire il contagio. Si tratta di sacerdoti e religiosi già abituati, per nomina del vescovo o per un ministero in realtà parrocchiali dove sono presenti strutture sanitarie, a frequentare ospedali e luoghi di cura.
Allargando il discorso, resta possibile in questo periodo confessarsi individualmente?
Capita che fedeli che fanno una visita in chiesa o telefonano chiedano di confessarsi. È possibile accogliere la richiesta individuale, non certo comunicare orari ed eventi predefiniti, perché si potrebbero formare assembramenti. Il sacerdote si mette d’accordo con il penitente affinché la confessione avvenga in spazi ampi e aerati, esterni al confessionale, nel rispetto delle distanze che prevengono l’eventuale contagio del virus, allo scopo di salvaguardare la salute di entrambi.
Dal suo osservatorio di parroco, come sta cambiando nei fedeli, a causa della pandemia, la percezione dell’Eucarestia e della Confessione?
In un primo tempo l’impossibilità di ricevere sacramentalmente l’Eucarestia ha provocato nel popolo di Dio un po’ di disorientamento; progressivamente, però, ho visto la presa di coscienza da parte di molte persone, che oggi seguono la Messa in streaming e in tv ma non rinunciano a vivere un semplice momento di raccoglimento nelle chiese aperte. Il vescovo Massimo ha chiarito che se anche i fedeli non possono ricevere l’Eucarestia sacramentalmente, tutti possono accedere ai frutti di comunione dell’Eucarestia, che continua ad essere celebrataogni giorno dai sacerdoti, pur senza la partecipazione del popolo, e offerta per tutta la Chiesa.
Sta mutando anche la percezione della Confessione?
Con le debite differenze, un discorso simile a quello dell’Eucarestia si può porre per il sacramento della Riconciliazione: è vero, per molti oggi è impossibile accedere al Perdono dal punto di vista sacramentale, ma è vero pure che sono attivi i frutti di questa riconciliazione e comunione desiderata e che sarà celebrata quando possibile, il “votum sacramenti” di cui parla il decreto. La preghiera cristiana ci mette quotidianamente nell’ottica di fermarci, di fare silenzio illuminati dalla parola di Dio, e di potere rileggere la giornata, come ad esempio avviene nella preghiera di Compieta, in un desiderio di ringraziamento, richiesta di perdono e comunione, magari con alcuni propositi che possano eventualmente diventare motivi di “riparazione” nel caso si riscontrino azioni di divisione con Dio e con i fratelli. Non dimentichiamo che il desiderio di ritornare a Dio, presente nel nostro gesto di preghiera, suggerisce sempre al cuore pensieri di gratitudine e richieste di perdono. Il Catechismo della Chiesa cattolica – che distingue tra peccato veniale e mortale – ci fa comprendere come abbiamo bisogno tanto della confessione sacramentale quanto, contemporaneamente, di un’educazione a una comunione reale, che forse in questo tempo può essere riscoperta anche nelle nostre case. Da questo punto di vista la pandemia, che costringe a lunghe ore di convivenza, può rivelarsi un tempo propizio per vivere gesti e parole di riconciliazione e comunione nelle case.
L’ambito ecclesiale in cui le restrizioni hanno colpito più duramente è quello dei funerali…
La presa di coscienza, in questo caso, è stata più lenta e anche più dolorosa. Con il Coronavirus si sommano due drammi: quello della persona che si ammala gravemente, e sperimenta una naturale situazione di paura e un senso di solitudine anche nel momento della morte, e quello dei suoi cari che non possono incontrarlo.
Oggi quali regole sono in vigore?
Le disposizioni della CEI e le indicazioni diocesane prendono in esame due situazioni. Se il defunto non era affetto da Covid-19 sono consentite la visita alla salma e la benedizione prima della chiusura della bara, nonché l’ultimo saluto al cimitero con la presenza del sacerdote; non è il rito delle esequie, ma solo la sua parte conclusiva. Resta l’obbligo di rispettare le disposizioni per prevenire il contagio, tra le quali la partecipazione limitata ad un numero ristretto di familiari. Se al momento del decesso il defunto era positivo al tampone per il virus, invece, è vietato accedere alla salma e la bara, immediatamente sigillata, è inviata alla sepoltura o alla cremazione.
Come sta ovviando la Chiesa a questa situazione inedita?
Con la comunione ecclesiale. Va in questo senso la proposta del vescovo Massimo di raccogliere dai parroci i nomi dei defunti di questo periodo per inserirne il ricordo nella santa Messa feriale e festiva che viene trasmessa in diretta. Tutti i sacerdoti pregano ogni giorno per i morti nell’Eucarestia, ma la memoria dei loro cari defunti dà un primo sollievo ai familiari, in attesa che, quando l’emergenza sarà cessata, tornino ad essere celebrate le Messe di suffragio nelle comunità, con il coinvolgimento delle famiglie e di tutto il popolo di Dio.