Alejandro Fantuzzi

Il ritratto collettivo è un termine poco usato, ma facile da comprendere: si tratta di un quadro dove vengono ritratte più persone non unite da vincoli di parentela. Nella storia dell’arte sono noti parecchi ritratti di famiglia, per contro sono pochissimi i ritratti di colleghi di lavoro o di amici. Alla fine del XIX° secolo nacque a Reggio Emilia un pittore che fece del ritratto collettivo la sua specialità. Già da queste poche righe l’appassionato di pittura capisce che sto parlando di un personaggio che è andato controcorrente. Sappiamo che nel 1910 venne dipinto da un laureato in legge, Vasilij Kandinskij, il primo acquerello astratto della storia.  Nella seconda decade del secolo scorso la ritrattistica era già in crisi per la diffusione della macchina fotografica e con il dilagare dell’astrattismo quasi scomparve. Fare il ritrattista significava fare il disoccupato. Non è stato così per il pittore che presento: è nato nel 1888, si chiama Roberto Fantuzzi. E’ figlio di Giuseppe, un noto pioniere della fotografia reggiana. Lo studio del padre, come altri studi di fotografi di quel periodo erano frequentati da artisti e dagli uomini di cultura del tempo. Grazie a questi incontri Roberto si appassionò alla pittura. Si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze e dopo il diploma andò a perfezionarsi a Roma e a Parigi: le due più importanti capitali artistiche del periodo. Fin da giovane ebbe il desiderio di conoscere ambienti culturali stranieri: si recò in Spagna, in Olanda, nella Gran Bretagna e nel 1918 si trasferì in America Latina. Fu proprio in Argentina e Uruguay che affinò l’arte del ritratto collettivo. Il primo quadro che lo rese celebre è stato dipinto nel 1924, dove immortalò i membri della Societad Uruguaya de Pediatria. Grazie a quest’opera il nome di Roberto Fantuzzi iniziò a circolare tra gli appassionati di pittura di quel periodo. Un mezzo molto utilizzato negli anni ‘20 per diffondere immagini erano le cartoline postali e molti quadri di Fantuzzi vennero fotografati e stampati su cartoline degli stati sud-americani.

Il primo quadro  è degli anni 20 ed è tratto da una cartolina postale. Si tratta di un intervento chirurgico avveniristico per il periodo: la rimozione dell’ipofisi per via trans-sfenoidale. Ho poche notizie sull’intervento ritratto dal Fantuzzi, so che venne eseguito alla Facultad de Ciencias Medicas di Buenos Aires. Sempre in argentina dipinse il ritratto del giornalista e importante uomo politico Alejandro Carbó Ortiz, immortalato nel suo studio in un momento di riflessione.

Un svolta importante nella vita di Roberto fu l’incontro col prof. Vittorio Putti, un noto ortopedico italiano che si trovava in Argentina per un congresso. Fantuzzi raccolse l’invito del cattedratico a rientrare in Italia. Ritornò nella prima metà degli anni trenta e presto anche nel nostro paese riuscì ad emergere come ritrattista. Con la presentazione del prof. Putti eseguì ritratti dei più noti medici dell’epoca ed anche di politici illustri. La sua notorietà aumentò quando dipinse i ritratti dei pontefici Pio XI° e Pio XII°. Questi dipinti vennero diffusi dalla stampa cattolica. Nel 1940 sposò Haydée Bocci e subito dopo venne richiamato alle armi. Durante il periodo bellico, al fronte, nei ritagli di tempo continuò a dipingere. I suoi soggetti erano i soldati che stavano affrontando le sofferenze di una guerra che sembrava non finire mai. A guerra finita riprese la sua attività di ritrattista e in particolare ritornò a dedicarsi al ritratto collettivo.

Ebbe l’incarico di eseguire quadri per diversi reparti del Policlinico Umberto I° di Roma. E’ proprio in alcune palazzine del Policlinico che si possono ancora ammirare molte sue opere.

Nel quadro di Cesare Frugoni e dei suoi collaboratori si vede come era la corsia di una divisione di medicina interna. Non ci sono strumenti e nemmeno monitor. Interessante è la finestra aperta sul giardino: la luce del sole e l’aria pura erano giustamente considerati mezzi di cura. I raggi ultravioletti, ieri come oggi, sono decisamente salutari per l’uomo. Guardando il quadro mi sembra di ascoltare Frugoni in una sua storica frase: “se non sempre guarire si può, sempre consolare si deve”

Attraverso i quadri di Fantuzzi dedicati alla classe medica osserviamo come si svolgeva la vita nelle cliniche universitarie. Il professore circondato dagli aiuti e dagli allievi, tutti in silenzio ad ascoltare la parola del maestro. Una realtà che ancora si mantiene, il metodo di apprendimento è sempre il medesimo: guardare, ascoltare e poi fare.  

Un dipinto realizzato nel 1934 è il ritratto di Giuseppe Pestalozza, illustre ginecologo e Senatore del Regno d’Italia. Lo vediamo ritratto mentre si trova in un’aula di medicina gremita di studenti e tiene una lezione avendo accanto una giovane ammalata.

Nel quadro di Giuseppe Alessandri si vede come era una sala operatoria prima della seconda guerra mondiale. Balza all’occhio il fatto che solo gli operatori portavano la mascherina. Il concetto di sterilità era molto diverso, si vedono perfino giovani medici con la camicia e la cravatta sotto al camice.

Due aspetti sono rilevanti nella pittura di Roberto Fantuzzi. L’aver sempre cercato di cogliere l’espressione del personaggio principale ed anche quella dei discepoli. Questi ultimi non sono “gente”, ma persone. Ciascuna ha peculiari caratteristiche anatomiche che questo interessante pittore reggiano ha saputo cogliere. Questa è l’essenza del ritratto collettivo.  L’altro aspetto che ammiro è la tecnica utilizzata: il quadro ad olio su tela. Dobbiamo ricordare che un quadro vive per sempre. Oggi i quadri ad olio di Fantuzzi spalancano la porta dei ricordi, egli ci insegna che il vero artista è capace di fermare il tempo.