Di Dario Caselli

Al netto delle dichiarazioni trionfalistiche di Casalino, pardon di Conte, l’Europa si è mossa: in un modo o nell’altro i soldi arriveranno. Probabilmente pochi a fondo perduto, molti sotto forma di prestiti. Agli strumenti già in campo, Bei, Sure, Mes e soprattutto la BCE, si aggiungerà un fondo per la ricostruzione da oltre 1000 miliardi. Non ha prevalso un grande afflato europeista, ma la paura, sembra che tutti o quasi, abbiano capito, che se l’Europa non avesse fatto un passo in avanti, sarebbe morta. Se si fosse volato alto si sarebbe parlato oltre che di soldi, anche di regole comuni sul mercato del lavoro, sul fisco, sulla difesa e politica estera. Per ora accontentiamoci di questo. Non c’è da fare alcun trionfalismo, ma non si può negare che ci arriveranno mal contati 200-300 miliardi di euro di prestiti a tassi più bassi, di quelli a cui si approvvigiona il Tesoro con i titoli di Stato. Si parla molto di sì o no al Mes, a cui rimangono contrari la Meloni e Salvini, con molti mal di pancia dentro la Lega, mentre i 5 Stelle si preparano all’ennesimo giro di valzer per dire di sì. Si parla poco o nulla di cosa fare di questi prestiti che comunque dovremo restituire o almeno dare l’idea ai mercati che saremo in grado se non di restituirli, ipotesi lunare, almeno di poter pagare gli interessi in perpetuo. E’ il dubbio che attanaglia i mercati e che spiega come mai lo spread si mantiene vicino a quota 250 punti, nonostante gli acquisti straordinari della BCE. Al netto delle chiacchiere, le famiglie italiane detengono poco più del 6% del debito nostrano, il resto è in pancia a banche, assicurazioni e ad investitori, oltre ovviamente alla già citata BCE. Si tratta della più grande immissione di denaro dai tempi del dopoguerra e potrebbero fare da volano ad una forte ripresa del paese, se verranno investiti nell’economia e nello sviluppo delle infrastrutture fisiche e digitali, in una parola, nella modernizzazione. Se invece finiranno come in passato nei mille rivoli di un assistenzialismo improduttivo, nella miriade di redditi di emergenza, di solidarietà ecc.., molto consoni alla politica miope e demagogica della nostra classe politica e dirigenziale, o se resteranno imbrigliati nelle maglie di una burocrazia arraffona e senza scrupoli, segneranno la via del nostro fallimento. E’ inutile negarlo: senza una radicale riforma dell’organizzazione dello Stato, riduzione dei Comuni, abolizione vera delle Province, ridefinizione dei poteri delle Regioni, senza una radicale riforma in senso meritocratico della burocrazia e un suo forte dimagrimento, una giustizia che funzioni, questo denaro non servirà a nulla. Passata questa occasione, non resterà molto da fare, non certo la patrimonialina di Delrio sui redditi alti, visto che chi guadagna più di 50.000 euro paga già il 40% delle tasse e il 44% degli italiani denunciano redditi di 15.000 euro e di tasse ne pagano ben poche. Resterà solo la patrimoniale sulle ricchezze mobiliari, gli immobili sono già gravati da 22 miliardi l’anno di patrimoniali, che però serviranno a rimborsare i creditori e alla fine ci sveglieremmo ancor più poveri. Certo, per un nuovo miracolo economico servirebbe concordia tra le forze politiche, almeno sulle riforme e un governo di competenti, non solo tecnici, ma politici coraggiosi. Sappiamo bene che le due cose sono legate e oggi improponibili, ma il domani arriva sempre più in fretta e credo che il tempo delle cicale, con un debito a 160 sul Pil, sia ormai finito.