di Ugo Pellini

Presente nelle boscaglie e nelle siepi il Biancospino è chiamato così in italiano per i suoi fiori bianchi e per i rami che portano spine acuminate. Il nome scientifico, Crataegus, deriva dal greco kratos, forza e fa riferimento alla durezza del suo legno, apprezzato per le lavorazioni e come combustibile. In dialetto è chiamato Bòch, Spin bianch, ma anche Chegapòj. I suoi frutti, rossi e carnosi a maturità, sono di sapore leggermente acidulo; con questi frutti si confezionano ottime marmellate e torte.

Il Biancospino ha una storia antica: i Greci, con i rami fioriti, adornavano gli altari nelle cerimonie nuziali, i Celti lo consideravano l’albero delle fate e i Romani gli attribuivano il potere magico di scacciare gli spiriti maligni.

Giovanni Pascoli ne ha cantato le lodi nei Canti di Castelvecchio: “Oh! Valentino vestito di nuovo, come le brocche dei biancospini!”.

Il Biancospino viene utilizzato per placare il senso di angoscia e di oppressione; è un ottimo tonico stimolante cardiaco, dilata le arterie coronariche migliorando l’afflusso del sangue, elimina le aritmie, riduce i livelli di colesterolo e favorisce il sonno. In Emilia Romagna a causa di una malattia, il Colpo di fuoco batterico, che colpisce i peri e i meli, è vietato piantare nuovi biancospini, perché considerati “veicolo” della malattia stessa.