
Ansia, insonnia, preoccupazione per il futuro, atteggiamenti autolesionistici, sono alcuni dei disturbi riscontrati nei giovani come conseguenza del forzato isolamento a cui sono costretti a causa della didattica a distanza. Le difficoltà dal punto di vista emotivo e relazionale derivanti dall’impatto psicologico della chiusura delle scuole è al centro del dibattito sulla tanto discussa Dad. Ne abbiamo parlato con il prof. Umberto Nizzoli, psicologo clinico e psicoterapeuta.

- Prof. Nizzoli, la stessa Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, è arrivata a dichiarare che “la didattica a distanza non funziona più”, dando ragione agli studenti che chiedevano a gran voce il ritorno sui banchi.
Chissà quante volte ha sentito un politico frustrato minacciare: gli italiani hanno capito! Lasciando intendere con quelle sue frasi che finalmente gli italiani sarebbero venuti dalla sua parte. Fa tenerezza sentire frasi del genere di fronte alla caotica realtà ancor più accentuata dal Covid-19. Ci sono certamente studenti che non tollerano più la DAD come ci sono studenti che invece vorrebbero proseguirla e probabilmente ci sono studenti che contemporaneamente vorrebbero proseguirla e interromperla. Pandemia è l’equivalente di caos.
- Si parla di risvolti psicologici importanti nei ragazzi che da così tanto tempo non possono esprimere la loro socialità a scuola in presenza, ambiente rilevante anche sotto questo punto di vista. Riusciranno secondo lei a colmare questo vuoto?
Siccome la mente funziona continuamente attivata dagli stimoli che le derivano, oltre che dalle memorie e dal corpo soggettivo, dall’ambiente, una profonda modificazione delle condizioni ambientali non può non determinare una notevole modificazione degli assetti psicologici antecedenti.
In questa circostanza si è determinata una mutilazione delle relazioni sociali parzialmente sostituite dalle relazioni on-line.
La salute mentale è uno stato di equilibrio di benessere interno nei contesti determinati; è evidente che il problema attuale consiste nel cercare di trovare un equilibrio anche in un contesto profondamente modificato. E’ una operazione di ristrutturazione non agevole che dovrebbe essere aiutata facilitata, accompagnata, ma non impossibile. Vede in giro servizi, istituzioni, pezzi di Stato che stiano facendo questo servizio alle persone?

- Si dice che gli adolescenti abbiano infinite risorse, ma forse anche loro si stanno inevitabilmente adagiando ad una situazione che hanno dovuto in qualche modo subire.
Beh che gli adolescenti abbiano infinite risorse è iperbolico ma non effettivo; nel senso che hanno molte più energie di quanto non ne posseggano le persone di età più avanzata, ma tra lì e l’infinito c’è un divario che dovrebbe essere accettato non come frustrazione ma con un dato di realtà.
C’è bisogno di riscoprire il bello e l’umile dell’essere umano smettendo di enfatizzare narcisismi idealizzati onnipotenti. Vede in tutti i disturbi, lo stesso disturbo rappresenta un punto di equilibrio; distorto fin che si vuole, ma quello è il punto di possibile equilibrio per quel soggetto. Per cui è assolutamente certo che quella che appare ai più come una mancanza, una carenza, quindi una perdita, possa rappresentare un punto di assestamento a cui le persone finiscono con l’appoggiarsi e sentirsi in qualche modo gratificate. Faticheranno ad abbandonare quello stato perché ci si possono essere trovate in equilibrio. Diversamente da quella che vorrebbe essere una epopea del cambiamento, guarire può essere difficile e faticoso.

- Telecamere spente, lezioni in pigiama: spesso la voce dell’insegnante risuona da uno schermo che non viene nemmeno guardato. Quali difficoltà troveranno gli studenti quando dovranno tornare alla normalità della scuola in presenza?
Essere insegnante in DAD può essere assolutamente frustrante, perché in effetti gli studenti possono essere non solo distratti, ma assolutamente disinteressati e perfino assenti. Cercare di motivarli, di ingaggiarli è straordinariamente difficile.
Alcuni insegnanti ricorrono a delle tattiche di controllo indiretto, tipo chiudi gli occhi mentre parli (così non copi) fai vedere la faccia, non accetto che siano interrotte le comunicazioni perché equivale al fatto che non stai partecipando.
Come stavamo dicendoci prima, chi si sarà assestato nella nuova realtà e vi avrà trovato un equilibrio confortevole, per quanto possa essere regredito e funzionare in modo immaturo, faticherà a reinserirsi.

Ma c’è anche chi sta scalpitando e desidera invece potersi reinserire immediatamente perché si accorge di avere energie che non vengono attivate sufficientemente. Il rientro a scuola per alcuni rappresenterà una situazione gioiosa, vale a dire un reincontro con una materia (o un insegnante) affascinante e costruttiva. In larga parte ciò dipende dalla modalità con cui gli insegnanti sono in grado di trasmettere il loro sapere. Altrimenti l’ambiente scolastico rimane una palestra di socialità fra coetanei, l’ equivalente di un centro diurno.
- Come aiutarli a uscire dall’isolamento sociale a cui li ha costretti questa situazione?
La questione è suscitare interesse; avere quindi una motivazione e avere oggetti di attrazione che senti costruttivi, importanti per te. Che poi tu lo possa fare a domicilio o passeggiando in un parco o andando a scuola, poco importa. L’importante è che tu li senta motivanti per te, e quindi positivi per te.
E’ chiaro che qui si ripone la questione di riuscire a cogliere le domande dei giovani, del loro bisogno di crescere e offrire loro delle testimonianze che possano significare il bello della crescita, il bello dell’apertura, il bello dell’avventura della vita, altrimenti è più facile vivere una condizione protetta.
Pensi che tutti coloro che una volta finivano con l’essere così isolati potevano essere considerati affetti da fobia sociale.

Oggi sono le condizioni di pandemia che suggeriscono di avere un comportamento simile! Pensi ancora a tutti coloro i quali trascorrevano il tempo in isolamento attaccati a un computer: potevano finire classificate come hikikomori, oggi invece questo è quello che viene offerto: giorni in solitudine attaccati al computer per potere seguire l’insegnamento scolastico e poi rimanere ancora attaccati al computer per poter giocare con qualche altro amico in forma telematica.
Quello che poco tempo fa era considerato patologico oggi viene suggerito. Il caso più manifesto è quello della pulizia delle mani; chi si lava le mani 20 volte al giorno prima della pandemia veniva classificato come fobico ossessivo oggi se non ti lavi le mani almeno 50 volte al giorno vieni considerato una persona irresponsabile che assume condotte a rischio.
- Si è parlato di manifestazioni come attacchi di panico, ansia, disturbi comportamentali conseguenti all’isolamento dei ragazzi, ognuno nella propria casa davanti ad un computer per almeno 5 ore consecutive
Anche questo è un radicale cambiamento. Fino a prima della pandemia se passavi più di 3 ore al giorno attaccato al computer venivi considerato in una condizione problematica o di dipendenza.
Oggi se non trascorri almeno 3 ore al giorno al computer sei un soggetto trasgressore del dovere scolastico. Oggi normalmente trascorri 9 10 ore al giorno al computer. Quello che un tempo era dipendenza oggi è considerata normalità. Questo ci aiuta a rilevare ancora una volta che le patologie prendono senso nei contesti sociali storici.

Vivere in condizione di isolamento provoca una enorme immissione di ansietà il cui governo può essere difficile; può scaturirne una emersione, con una condotta impulsiva o con una perdita del controllo, con una crisi emotiva, una crisi d’ansia acuta, perfino con attacchi di panico.
La ricerca scientifica oggi dimostra che la pandemia sta lasciando enormi conseguenze sullo stato di salute mentale delle popolazioni; che disturbi di ansia, disturbi ansioso-depressivi, disturbi del sonno e disturbi psicosomatici sono diventati talmente diffusi da essere prevalenti nella popolazione generale: ne sono colpiti tutti, ovviamente anche i giovani.
- I genitori hanno il timore che i ragazzi stiano perdendo mesi, giorni, ore preziose. Lei cosa ne pensa? Può in qualche modo tranquillizzarli?
Penso che la crescita non si arresti mai. Quando si dice, hai perso un anno di studio, è un modo di intendere la vita in un modo prestazionale secondo linee di sviluppo prestabilite. In realtà non stai perdendo nessun tempo; semplicemente lo stai vivendo in altro modo.
Il problema è di vedere se è produttivo alla stessa maniera oppure no; forse lo è anche di più, molto più frequentemente lo è di meno. Qui si innesta un’altra questione, quella delle straordinarie diseguaglianze che vengono aumentate enormemente dalla pandemia. Ci sarà chi ha tratto beneficio dalle condizioni di poter frequentare in modo organizzato, con gli strumenti adeguati, in un ambiente favorevole e motivante le lezioni on-line e chi invece si sarà trovato in condizioni più avverse, in ambienti sovraffollati, con tecnologie antiquate, con copertura di rete scadente, con pochi o nessuno supporto familiare che si troverà ancora più distante di un tempo. Vede oggi la condizione che viviamo è straordinaria, incerta e turbolenta. Io stesso ho fatto un intervento a un congresso mondiale che era previsto a Sydney da casa mia comodamente seduto mentre mi stavo gustando una tazza di tè. Ho potuto parlare come fossi stato sul palco in Australia. Non ci fosse stata la pandemia non avrei potuto farlo. C’è anche del positivo in questo tempo volatile.