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di Riccardo Caselli

Ho notato come nell’ultimo anno Singapore abbia spesso trovato spazio nei media italiani. In particolare l’interesse si è raccolto attorno alla gestione della pandemia da parte del Paese. L’attestato più recente e forse più importante della buona gestione di Singapore è l’accordo per ospitare per il 2021 il World Economic Forum che normalmente si tiene a Davos. Avendo vissuto – da ‘recluso’ come tutti – quest’ultimo anno a Singapore, trovo interessante condividere alcuni fatti, più o meno noti.

All’inizio della pandemia Singapore ha tentato in ogni modo di evitare il lockdown per non danneggiare l’economia. Per mesi si è proceduto con norme di distanziamento sociale blande (es. tavoli alterni al ristorante) e una fitta intelligence di tracciamento da parte delle autorità. All’epoca non vi era ancora una app o altri sistemi e il tracciamento avveniva per lo più con strategie di “detective” vecchio stile e un lavoro certosino. Occorre anche ricordare a questo proposito che Singapore è di fatto un’isola, con meno di sei milioni di abitanti condensati in un territorio percorribile in un’ora d’auto da un estremo all’altro.
Il lavoro meticoloso dell’intelligence ha funzionato fintanto che alcuni casi non tracciati hanno iniziato a sfuggire. Bastano infatti pochi casi che si espandono in maniera geometrica creando nuovi focolai per fare esplodere i numeri. In particolare furono quelli “importati” a rompere l’argine inizialmente efficace del tracciamento. Singapore ha circa un 35% di popolazione straniera o acquisita, che visitando familiari in nazioni a più alto rischio per le quali non erano ancora stati chiusi i voli (come invece per l’Italia), come l’India (gli indiani a Singapore sono una minoranza molto grande) hanno riportato il virus nel paese.

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Dopo un aumento piccolo ma costante e superiore al passo del tracciamento, maturò la decisione del lockdown. E qui è importante precisare che – a differenza in parte dell’Italia – il Governo di Singapore decise da subito di varare una linea chiara, dura, con i suoi rischi, ma della durata di un anno circa.
Venne da subito annunciato un lockdown di un mese che fu esteso prontamente a tre, attenuato poi alla decima settimana, che aveva l’obiettivo di bloccare immediatamente la diffusione del virus (insieme alla chiusura a quel punto dei voli e del turismo), a cui fece seguito una riapertura in tre fasi, con restrizioni allentate ad ognuna di esse.

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Quello che forse non tutti sanno, è che questa prima misura estremamente rigorosa fu presa a fronte di due morti in totale in quel momento e tutto sommato poche decine di casi su base giornaliera.
A Singapore non si è mai verificato infatti un cosiddetto “community spread” su vasta scala. Ma durante il lockdown si è verificato un grosso focolaio tra i dormitori degli operai. Qui infatti, visto il costo molto elevato degli affitti, il Governo mette a disposizione delle aziende dormitori in una specifica area della città dove alloggiare gli operai, in particolare del settore costruzioni, provenienti dal Bangladesh, Myanmar, Pakistan, ecc… Queste zone furono messe in quarantena e costantemente presidiate e prese in carico dalle autorità, in una bolla sostanzialmente priva di contatti con il resto della città.
Superato il lockdown, la riapertura ha visto tre fasi con una diluizione dell’uso degli uffici (varie norme per imporre prima e incoraggiare poi, lo smart work), distanziamento in caffè e ristoranti e obbligo di prenotazione in luoghi quali palestre, ecc… Si può dire che viaggi a parte, tutto sia ormai tornato alla normalità, tranne i locali obbligati a smettere di servire alcol dopo le 22.30 nonché l’uso della mascherina tuttora in vigore.

Singapore fu anche la prima nazione a lanciare la app di tracciamento TraceTogether, iniziativa poi ripresa da molti Paesi, e Safe Entry, un sistema di registrazione ora obbligatorio per l’accesso a qualsiasi edificio, azienda, supermercato. La popolazione ha aderito all’80% a queste applicazioni e questo consente oggi un tracciamento molto efficace.
I residenti che vogliano uscire per tornare nei loro paesi d’origine e rientrare a Singapore sono ad oggi costretti a due settimane di quarantena in hotel, generalmente a 4 o 5 stelle messi a disposizione dal governo a un prezzo fisso di 2000 dollari di Singapore (1,250 euro circa) pasti inclusi. Fatto salvo per i viaggiatori provenienti da alcune nazioni alle quali il Paese ha unilateralmente aperto nel tentativo di stimolare nuovamente il turismo la cui perdita ha contribuito a un severo crollo del PIL nel 2020. Passeggeri da Stati quali Vietnam, Nuova Zelanda, Brunei e altri (la lista cambia di continuo a seconda dei casi), possono entrare solo con il tampone. L’ultima notizia è la creazione di una “bolla” nelle vicinanze dell’aeroporto per i business trip.

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Sul lato economico, alcune iniziative hanno incluso il Job Support Scheme, una specie di cassa integrazione per un anno fra il 20 e l’80% specie sui salari bassi, ma soprattutto durante il lockdown un rimborso dell’affitto per esercizi commerciali di tre mesi. Misura quest’ultima apprezzatissima in particolare dai tanti ristoratori Italiani qui presenti con cui ho chiacchierato, i quali grazie a queste due misure, unite alla chiarezza del Governo riguardo ad aperture e regole, hanno potuto chiudere l’anno in alcuni casi persino con un attivo superiore al passato, se si tiene conto anche del fatturato generato comunque tramite la conversione alle consegne via piattaforme come Food Panda, Deliveroo e Grab. Per chi non lo sapesse, Grab è un’azienda e app singaporiana che nacque come principale competitor di Uber, finendo poi per acquisire quest’ultimo nel mercato del Sud Est Asiatico.

Occorre anche dire che il diritto del lavoro è molto a favore delle aziende, che non hanno particolari limitazioni nel licenziare i lavoratori e hanno potuto anche imporre piuttosto liberamente riduzioni salariali temporanee o ferie non retribuite. Il tasso di disoccupazione storicamente bassissimo, ha raggiunto comunque uno dei suoi picchi al 3.3%, un punto più alto del 2019.
D’altro canto si segnala che diversi lavoratori che hanno perso il lavoro durante la pandemia hanno potuto essere ricollocati in ambito sanitario attraverso corsi ad hoc di breve durata organizzati dal governo, anche al fine di imparare a usare i dispositivi anti contagio, per lo svolgimento di servizi di pubblica utilità presso strutture di isolamento, in mansioni come la distribuzione dei pasti, il tracciamento dei contatti, verifiche telefoniche, ecc…

Foto di Shawn Ang

Se Singapore si può definire dunque un’isola felice nel contesto del Covid (in senso letterale), sul piano psicologico un aspetto da non sottovalutare è l’impossibilità di varcare i confini di un luogo così circoscritto, i cui abitanti erano abituati a fare weekend ovunque fra Bali, Thailandia, Maldive in cerca di paradisi tropicali lontano dai grattacieli, sfruttando un’eccellenza quale l’aeroporto migliore al mondo, il Changi, che dal 2019 ospita la più grande cascata (artificiale) indoor, costata oltre un miliardo di euro.

Se la situazione per molti è diventata un po’ claustrofobica, la salute resta la priorità e evitare un secondo lockdown è stato un grande successo insieme ai casi pressoché azzerati. E’ stato e continua ad essere un periodo difficile, ma grazie anche al piano di vaccinare la popolazione entro settembre e all’efficienza mostrata finora dal Governo, finalmente si comincia a guardare avanti con un certo, seppur cauto, ottimismo