“Possiamo utilizzare i suoli per contribuire a contenere le emissioni di gas clima alteranti” così Aronne Ruffini, dirigente del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale ha lanciato una innovativa proposta green per il mondo rurale, presentata, nell’ambito del progetto Life AgriCOlture. Un progetto promosso dai Consorzi di Bonifica dell’Emilia Centrale, Burana, Parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano e Centro Ricerche produzioni animali. “Nel concreto proponiamo – ha spiegato Ruffini – un patto fra agricoltori e istituzioni per una agricoltura conservativa del suolo nell’Appennino tosco emiliano”.
“Mantenendo la sostanza organica il più possibile nel terreno potremo stoccare di fatto il carbonio e non immetterlo in atmosfera – ha aggiunto Giuseppe Vignali, direttore del Parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano -. Questo progetto va nella direzione di una nuova governance dei servizi agro-ambientali-climatici: l’idea di protocolli firmati tra i diversi attori è estremamente importante”.
“Col progetto Life AgiCOlture avviato a settembre 2019 in Appennino – ha commentato Luca Filippi, coordinatore dello stesso – ci impegniamo in questa direzione. Oggi ci troviamo in un contesto nel quale, a differenza di 50 anni fa, si perde costantemente suolo e sostanza organica anche a seguito di erosioni o rimboschimento. Intendiamo promuovere la riduzione delle lavorazioni del suolo con tecniche di agricoltura conservativa. Da qui i protocolli agronomici di buona gestone del suo agrario che stiamo adottando in 15 aziende dimostrative di Reggio, Parma e Modena. Esse prevedono, inoltre, di migliorare la gestione dei reflui zootecnici, di attuare un miglioramento fondiario con drenaggi, la sistemazione di strade sterrate, la rimozione di massi, la pulizia e il rimodellamento dei fossi di scolo, i tagli selettivi per il contenimento della vegetazione”.
La nuova proposta di governace scaturirà, quindi, da futuri ‘protocolli applicativi di buone pratiche per la gestione del suolo e degli strumenti di contabilizzazione’. Una sorta di patto tra istituzioni e agricoltori che intenderanno sottoscriverli. L’obiettivo è estendere gli stessi a una base sempre più ampia, che preveda una remunerazione – ad esempio con contratti di filiera – per gli stessi agricoltori che operano per la mitigazione del cambiamento. La strategia, pertanto prevede di estendere a nuove aziende, oltre ai 15 agricoltori di partenza dell’Appennino, le pratiche che si stanno adottando, grazie proprio ai patti. “E’ chiaro che dovremo prima di tutto dimostrare che il sistema funziona – ha aggiunto Filippi -, che già c’è disponibilità di operatori specializzati e, quindi, la stessa Unione Europea condivide il progetto”.
Per questo sono previsti – appena la pandemia lo consentirà – nuovi incontri con gli agricoltori, quindi tavoli con istituzioni e associazioni. E’ prevista, quindi, l’istituzione di un fondo di sussidiarietà che andrà a contabilizzare i diversi impegni: cosa si impegnano a fare gli agricoltori, i partner del progetto attuale (con interventi sulle viabilità e dissesti), e le istituzioni, con possibili sgravi. Addirittura si potranno comprendere nel patto le risorse di imprese già impegnate a ridurre le emissioni. L’anno prossimo saranno previste due giornate internazionali a Reggio Emilia per la stipula dei patti.
Intanto proseguono in questi giorni gli studi sui campi prova montani sugli effetti dell’agricoltura conservativa.
IL PROGETTO LIFE IN PILLOLE
4 anni di progetto (2019 – 2023)
1.515.000 euro di buget (di cui 833.000 euro dall’UE)
15 aziende coinvolte
3 le province in cui si svolge: Reggio Emilia, Parma, Modena
15 i campi prova