
REGGIO EMILIA – La missionarietà della Chiesa reggiano-guastallese era palpabile la sera di venerdì 20 ottobre nella chiesa cittadina di San Pietro, che, gremita di fedeli, ha accolto la veglia missionaria presieduta dall’arcivescovo Giacomo Morandi e promossa dal Centro Missionario Diocesano diretto da don Marco Ferrari.
Negli secoli dalla diocesi sono partiti decine e decine di religiosi e religiose per le missioni; ma dal 1961 con don Pietro Ganapini – durante l’episcopato Socche – è iniziato il movimento dei sacerdoti “fidei donum” – dal titolo dell’enciclica di Pio XII del 1957 – per le missioni diocesane, rafforzatosi con l’episcopato Baroni che nel 1968 pubblicò la lettera pastorale “La Chiesa diocesana in stato di missione”.

Venerdì hanno ricevuto il mandato missionario: suor Ines Talignani, carmelitana minore della carità, per l’Albania; Maria Baldo, logopedista di Magenta e don Luigi Gibellini, fratello della carità, per il Brasile.
A loro il vescovo ha consegnato il crocefisso, icona del mandato loro affidato dalla Chiesa reggiano-guastallese; svolgeranno il loro servizio nelle missioni diocesane.
Prima del rito, quattro unità pastorali hanno raccontato attraverso la testimonianza di don Carlo, Giordano, Alice e Maddalena e infine di Ersilia l’esperienza di servizio e di volontariato in Albania. Nota di fondo: questo “andare” è stato a nome della Chiesa diocesana.

Nei loro interventi sono state enucleati il martirio delle popolazioni del Paese delle aquile durante l’opprimente governo comunista, che aveva tolto ogni libertà religiosa; la povertà persistente soprattutto delle zone rurali e nei villaggi di montagna che avvertono il fenomeno dello spopolamento e dell’emigrazione dei giovani; ma nel contempo sono stati evidenziati anche l’accoglienza reciproca, l’attenzione per i disabili, la condivisone, l’incontro e l’animazione di attività con bambini e ragazzi. Il tutto nato dalla Caritas reggiana e dall’opera meravigliosa del direttore don Gigi Guglielmi.
Accanto a mons. Morandi era don Davide Fiori, per anni in San Pellegrino e ora parroco proprio a Magenta.
L’omelia dell’Arcivescovo è stata incentrata sul brano evangelico dei discepoli di Emmanus, dei quali è stato messo in evidenza il divenire missionari che corrono ad annunciare l’incontro con il Maestro anche se è notte. La tristezza e la delusione che li contraddistinguono diventano passione e voglia di comunicare l’esperienza vissuta; il Signore si è fatto prossimo, dando loro tempo per esprimere quanto provavano.

Già l’ascolto, in un tempo frenetico come il nostro, è comunicazione del Vangelo. I due discepoli di Emmaus non accettano il tipo di liberazione che Gesù aveva portato. Ora quale liberazione porteranno suor Ines, Maria e don Luigi alle persone che incontreranno in missione? Annunceranno la forza e la potenza della Resurrezione, che ha vinto la morte. Dovranno fare nascere nei cuori il desiderio di Dio e trasmettere la gioia di stare con il Signore; cioè il fascino e la bellezza della vita con Gesù. L’arcivescovo ha evidenziato come sia l’Eucarestia ad aprire gli occhi ai due discepoli di Emmaus; solo una vita donata è sorgente di vita, come il chicco che muore e produce frutto.
Dall’Eucarestia si attinge il desiderio di donare, spezzare la vita per gli altri; ciò non vale solo per le missioni. Anche nella nostra diocesi ci sono tanti in attesa di qualcun che parli loro del Vangelo. Occorre risvegliare – ha proseguito mons. Morandi – il desiderio di uscire, come ha fatto a tutte le ore il padrone della vigna, perché molti altri fratelli si uniscano nella preghiera. Occorre seguire l’esempio di Maria che senza esitazione si recò ad assistere la cugina Elisabetta; nella Chiesa, in questo caso, fretta e urgenza non sono cattive consigliere, ma rappresentano un comportamento indispensabile, perché tanti fratelli e sorelle attendono la parola di speranza portata dalla Resurrezione.
Due gesti emblematici hanno infine contrassegnato la veglia: la raccolta di offerte da destinare alle missioni e la distribuzione da parte di Maria, don Luigi e suor Ines del Rosario malgascio. Quanti abbracci, quante strette di mano da parte dei fedeli ai tre missionari diocesani, segno di affetto, condivisione e riconoscenza per la loro scelta certamente non facile ed impegnativa.