di Giuspepe Adriano Rossi

REGGIO EMILIA – “Il lavoro tra intelligenza artificiale e centralità della Persona”: un tema di stringente attualità sul quale l’arcivescovo Morandi ha offerto nel pomeriggio di giovedì 13 marzo – in un incontro promosso da UCID – una “lectio magistralis” di particolare spessore, muovendo dai richiami di Papa Francesco.
A Papa Bergoglio, infatti, sta particolarmente a cuore la connessione tra intelligenza artificiale, pace, comunicazione umana, lavoro, soprattutto per le prospettive etiche sottese.
Nel suo intervento mons. Morandi ha fatto numerosi riferimenti alla recentissima Nota (24 gennaio 2025) del Dicastero per la dottrina della fede e del Dicastero per la cultura e l’educazione “Antiqua et Nova” concernente appunto il rapporto tra intelligenza artificiale (IA) e intelligenza umana (IU). La prima è solo un mezzo e può risultare fuorviante la sua denominazione.
La Chiesa incoraggia il progresso delle scienze, della tecnologia; c’è un approccio positivo; è esperienza della collaborazione all’opera creatrice. Non sempre però il progresso tecnologico è anche progresso umano e l’Arcivescovo ha citato il caso del genetista francese Jérôme Lejeune (1926-1994), servo di Dio, primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e scopritore della Trisomia 21 come causa della sindrome di Down, che affermava “la qualità di una civiltà si misura dal rispetto che ha verso i più deboli” e per questo fu ostracizzato dal mondo scientifico. Di lui disse Papa Francesco: “Jérôme Lejeune nel suo lavoro di genetista ha fornito strumenti validi e moderni per contrastare quella troppo diffusa cultura dello scarto che colpisce i fragili e i deboli, e tra tutti gli anziani e i bambini”.

La I.A. fornisce una marea di dati, di informazioni, ma chi li raccoglie e chi ne orienta la diffusione? Ecco il ruolo del “potere” e di chi lo detie. Non si può bypassare la persona umana. Si è sommersi dai dati, ecco allora l’importanza del pensiero, di cui si avverte il deficit. Benedetto XVI sottolineava la difficoltà di avere un pensiero critico; la questione di fondo è infatti antropologica. Nella I.A. mancano corporeità e razionalità; Pascal affermava: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”. “Siamo connessi, ma non in comunione” ha sottolineato mons. Morandi; si hanno grandi capacità di contatti ma poche relazioni: ecco la solitudine, un disastro!
I luoghi di lavoro sono spesso contrassegnati da alienazioni; non è certo ciò che auspicava l’imprenditore Adriano Olivetti. Serve allora sostenibilità nei passaggi epocali per evitare sacche di povertà. Il pensiero dell’Arcivescovo è andato alla “Rerum Novarum” di Leone XIII: il profitto non può essere l’unico elemento e al salmo 72. Non si può utilizzare la tecnologia per eliminare un concorrente; la I.A. è solo un mezzo: ne deriva l’importanza del criterio di responsabilità degli attori del processo.

Tavolo relatori, da sin. Papaleo, Storchi, Ferraguti, Fera

Esiste alla base un principio morale: il valore supremo di ogni essere umano e la pienezza del suo sviluppo integrale; altrimenti c’è la grande tentazione della torre di Babele, di dare la scalata a Dio. Oggi c’è l’idea della costruzione di una città senza Dio; si tende alla sua dissoluzione e di conseguenza dell’uomo creato a immagine di Dio. Papa Francesco insiste sulla sapienza del cuore, sull’arte di vivere. La “Gaudium et Spes” scrive: l’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. E la Nota “Antiqua et Nova” sottolinea: “Poiché ciò che misura la perfezione delle persone è il loro grado di carità, non la quantità di dati e conoscenze che possono accumulare, il modo in cui si adotta l’I.A. per includere gli ultimi, cioè i fratelli e le sorelle più deboli e bisognosi, è la misura rivelatrice della nostra umanità. Questa saggezza può illuminare e guidare un uso di tale tecnologia che sia centrato sull’essere umano, che come tale può aiutare a promuovere il bene comune, ad aver cura della ‘casa comune’, ad avanzare nella ricerca della verità, a sostenere lo sviluppo umano integrale, a favorire la solidarietà e la fraternità umana, per poi condurre l’umanità al suo fine ultimo: la felice e piena comunione con Dio”. Un bella persona è colei che ha a cuore la qualità.
L’arcivescovo Giacomo, che proprio il 13 marzo ricordava il terzo anniversario del suo ingresso in diocesi, ha concluso la “lectio” citando il trinomio che ha contraddistinto il beato Francesco Faà di Bruno, architetto, matematico, ufficiale e poi sacerdote (1815-1888), amico di don Bosco, fondatore dell’Opera di Santa Zita per le donne di servizio: Dio, scienza, poveri.
La relazione di mons. Morandi era stata preceduta da una tavola rotonda introdotta da Chiara Franco e moderata da Mattia Mariani; hanno partecipato Fabio Storchi, Rosamaria Papaleo, Federica Ferraguti, Sabire Fera; L’incontro è stato concluso dalla celebrazione eucaristica giubilare vespertina nella cripta della Cattedrale presieduta dall’Arcivescovo Giacomo.